domenica 19 ottobre 2008

ASMA



L' asma è una patologia infiammatoria cronica reversibile che rientra nel gruppo delle sindromi ostruttive, caratterizzata da aumento delle resistenze dinamiche. L'asma è una malattia episodica, le cui fasi acute possono intervallarsi a periodi sintomatologicamente silenti. Nell'asma bisogna distinguere fattori causali e fattori scatenanti; i primi sono rappresentati da fattori genetici ( anormale risposta delle IgE), fattori allergici, fattori professionali e fattori farmacologici( acido acetilsalicilico); tra i fattori scatenanti ricordiamo l'esercizio fisico, l'iperventilazione, le infezioni delle vie aeree, il reflusso gastroesofageo.
L'asma è il risultato di uno stato subacuto persistente di infiammazione delle vie aeree nel quale possiamo riconoscere tre fasi:
Sensibilizzazione - un allergene inalato deve venire in contatto con le cellule dentritiche dell'epitelio bronchiale e tramite queste verrà presentato ai linfociti B che porteranno alla produzione di IgE; le immunoglobuline neoformate si complessano a livello delle vie aeree con i mastociti.
Reazione precoce – l'allergene viene captato dalle IgE legate alle mastcellule e ciò provoca la liberazione di mediatori chimici quali istamina, serotonina, PAF, e fattori importanti per la successiva reazione tardiva quali mediatori citotossici e chemiotattici. Nella reazione precoce avremo una broncocostrizione che raggiunge l'acme dopo 20-30 minuti e regredisce dopo 2-3 ore a questa può seguire la reazione tardiva 8-12 ore.
Reazione tardiva – è scatenata dal perdurare del processo infiammatorio favorito da citochine e chemochine e anche dall'esposizione delle fibre C amieliniche dopo lo sfaldamento dell'epitelio che generano un broncospasmo riflesso tramite stimolazione vagale e rilascio di tachinine.
La sintomatologia dell'asma è costituita da una triade caratterizzata da dispnea, tosse e respiro sibilante. All'inizio dell'attacco il paziente lamenta un senso di costrizione al torace a cui spesso si associa una tosse no produttiva; i polmoni diventano rapidamente iperespansi, se l'accesso è grave entrano in funzione i muscoli accessori della respirazione con tachicardia e polso paradosso( dovuto ad aumento della pressione negativa del torace).I rilievi istopatologici mettono in luce la flogosi cronica delle vie aeree, le pareti si presentano edematose, l'epitelio mostra alterazioni di vario grado, dalla perdita delle ciglia alla completa esfoliazione e nelle fasi croniche ispessimento della membrana basale.
La diagnosi può essere ottenuta tramite spirometria nella quale ritroviamo le alterazioni caratteristiche delle sindromi ostruttive ovvero aumento del volume residuo e riduzione del picco di flusso espiratorio, informazioni utili possono essere ottenute anche tramite lo studio dell'espettorato volontario o provocato tramite l'inalazione di soluzione ipertoniche il quale risulta ricco di neutrofili, macrofagi ed eosinofili oltre a documentare la presenza di spirali di Curschman, corpi di Creola e cristalli di Charcot-Leyden; dall'emogasanalisi si riscontra uno stato di ipossia durante gli accessi che genera un'iperventilazione la quale determina ipocania e alcalosi respiratoria.
La diagnosi differenziale deve prendere in considerazione la BPCO ( esposizione al fumo di sigaretta, ostruzione irreversibile, sintomatologia ipersecretiva), ARDS, edema della glottide, ostruzioni organiche. La terapia si basa su Broncodilatatori Beta- stimolanti e anticolinergici utili nelle fasi iniziali e Corticosteroidi per la risoluzione del processo infiammatorio. La posologia dei farmaci dipende dalla gravità della malattia.

giovedì 12 giugno 2008

DIABETE



Con il termine diabete si intende un insieme di alterazioni patologiche accomunate dall’iperglicemia, che a sua volta può dipendere dalla ridotta produzione insulina, dalla ridotta attività periferica dell‘insulina, dall‘eccessiva produzione di glucosio a livello epatico. Il diabete classicamente è distinto in due categorie diabete mellito di tipo 1 a patogenesi autoimmunitaria e diabete di tipo 2 caratterizzato da insulinoresistenza, alterato rilascio dell’insulina, eccessiva produzione di glucosio; solitamente la seconda forma è proceduta da alterata glicemia a digiuno (o alterata tolleranza glucidica). A queste due classi si associano altri tipi di diabete mellito come il MODY (diabete giovanile ad insorgenza nell’età adulta) e il diabete gestazionale.


La diagnosi del diabete può essere effettuata tramite il controllo della glicemia e della tolleranza glucidica in presenza dei classici sintomi clinici (poliuria, polidipsia e calo ponderale); nel soggetto
normale la glicemia a digiuno è inferiore ai 100mg/dl, una glicemia compresa tra 100-126mg/dl è definita come alterata glicemia a digiuno, infine un valore pari o superiore a 126 indica la presenza di patologia diabetica. L’alterata glicemia a digiuno può essere paragonata alla ridotta tolleranza glucidica (140-200mg/dl) e sono delle condizioni che predispongono allo sviluppo del diabete e delle patologie cardiache. Un utile metodo per confermare la diagnosi di diabete è il dosaggio dell’emoglobina glicosilata, che rispecchia la glicemia degli ultimi 3 mesi.
L’insulina è prodotta dalle cellule B del pancreas sottoforma di preproinsulina, questa molecola iniziale subisce due clivaggi successivi, nel primo è rimosso il segnale aminoterminale, nel secondo è rimossa una sequenza di 31 residui aminoacidi (peptide-C) con formazione dell’insulina, costituita da due catene alfa e beta tenute insieme da due ponti disolfuro; quindi
isulina e peptide-C sono inglobati nei granuli secretori e liberati dopo stimolazione.


Lo stimolo al rilascio dell’insulina è mediato dall’ingresso del glucosio nelle cellule beta pancreatiche tramite il trasportatore GLUT-2, quando la glicemia supera i 70mg/dl; in queste cellule il glucosio viene convertito in ATP che inibisce un canale del potassio con conseguente depolarizzazione della membrana ed apertura dei canali del Calcio che provocano la liberazione dell’insulina. Quest’ultima agisce a livello periferico sui recettori posti principalmente a livello del tessuto adiposo, del muscolo e del fegato provocando l’esposizione del trasportatore GLUT-4 sulla membrana di tale cellule permettendo l’utilizzo del glucosio da parte di questi tessuti. Inoltre l’interazione dell’insulina con il suo recettore favorisce la sintesi proteica, la lipogenesi e la gliconeogenesi epatica. Il diabete mellito di tipo 1 è risultato di effetti sinergici genetici, ambientali e immunologoci. Gli individui con suscettibilità genetica hanno un normale numero di cellule beta alla nascita, ma iniziano a perdere tali cellule in seguito ad un processo autoimmune, dovuto forse all’interazioni tra fattori ambientali come virus della rosolia o coxsackie virus con l’organismo predisposto (aplotipo HLA-DR3/DR4).


Il processo patogenetico iniziale prevede un accumulo di linfociti nelle cellule beta con lo sviluppo di un’insulite; dopo che tutte le cellule sono state distrutte il processo si arresta e non è più possibile ritrovare i marcker immunologici. Le molecole solitamente bersaglio del processo autoimmune sono: insulina, GAD, phogrin. Il diabete mellito di tipo 2 è caratterizzato dall’insulinaresistenza e dall’alterata secrezione di insulina ed eccessiva produzione epatica di glucosio. Nelle fasi precoci della patologia la tolleranza glucidica rimane nella norma, nonostante la resistenza insulinica, poiché le cellule beta attuano un compenso aumentandone il rilascio in circolo. Quando il limite del compenso è superato dall’ulteriore insulinoresistenza compare l’elevazione dei livelli glicemici nel periodo post prandiale. Molto spesso il diabete mellito di tipo 2 si trova associato ad obesità viscerale o addominale. Le complicanze del diabete possono essere suddivise in acute e croniche.


Le prime sono rappresentate dalla chetoacidosi diabetica (CAD) e dallo stato iperosmolare iperglicemico (SII), tipiche del paziente affetto da diabete mellito di tipo 1. La CAD si manifesta solitamente con: nausea, vomito, dolori addominali, respiro di kusmaull (profonda inspirazione, apnea, espirazione, apnea post espiratoria), glicosuria, ipotensione, tachicardia, letargia e depressione del sistema nervoso centrale. Nella SII la sintomatologia clinica è rappresentata da
poliuria, perdita di peso, confusione mentale sino al coma. Le complicanze Croniche possono essere suddivise in non vascolari e vascolari, e quest’ultime ulteriormente classificate in microvascolari (retinopatia, nefropatia, neuropatia) e macrovascolari (coronaropatie, ictus, infarto arti inferiori). Il trattamento del diabete mellito di tipo 1 si basa sull’uso di schemi differenti a base di insulina; il diabete di tipo 2 trova giovamento dalla terapia medica nutrizionale, dall’attività fisica, e dall’approccio farmacologico che si basa su ipoglicemizzanti orali( sulfaniluree, biguanidi, inibitori dell’alfa-glucosidi, tiazolinedioni).

lunedì 2 giugno 2008

INSUFFICIENZA VEMOSA E VENE VARICOSE


Per insufficienza venosa si intende una serie di disturbi caratterizzati da un difficoltoso ritorno al cuore. Negli arti inferiori vi sono due sistemi principali di vene, uno superficiale ed uno profondo. Quello superficiale è principalmente rappresentato dalla grande e dalla piccola safena e dai loro rami affluenti. Nel sistema profondo si individuano vasi di diametro sempre maggiore che confluiscono nella vena poplitea, e questa nella vena femorale. I due sistemi si trovano riuniti tramite rami che sono definiti perforanti, dotati di valvole che permettono il flusso di sangue dal distretto superficiale a quello profondo e si oppongono al reflusso. L’insufficienza venosa degli arti inferiori può essere distinta in due categorie:
- Varici primitive
- Varici secondarie
Le varici primitive sono dovute ad un lento e progressivo logoramento dei foglietti valvolari; in genere l’eziologia è valvolare e/o genetica. Le donne sono colpite con maggiore frequenza, anche se la differenza tra i sessi tende ad annullarsi dopo la sesta decade.
Le varici secondarie sono in genere successive alla trombosi del circolo venoso profondo, infatti, in queste situazioni il sangue deve defluire tutto tramite il circolo superficiale e ciò provoca sfaldamento dei piani valvolari con rigonfiamento delle vene superficiali, dolore nelle regioni prossimali, stasi e gonfiore soprattutto distale e serotino, le vene soggette ad ipertensione determinano delle tortuosità chiamate varici.
I principali sintomi sino: pesantezza, gonfiore agli arti inferiori, crampi notturni, cianosi, sensazione di bruciore a livello cutaneo, sensazione di formicolio, sensazione di piedi freddi.
La diagnosi è essenzialmente clinica(prova di Trendeleburg, test di Pertes) e vanno escluse patologie sistemiche che possono essere all’origine del disturbo (patologie renali, cardiache o epatiche); gli esami strumentali ausiliari sono: ecografia e ecocolordoppler.
Le possibili complicanze sono rappresentate dalle flebiti e flebotrombosi.
La terapia può essere sia medica che chirurgica. La terapia medica prevede l’uso di calze elasto-contentive, i farmaci non possono guarire la disfunzione valvolare, ma possono contrastare la sintomatologia. La terapia chirurgica può essere effettuata con tecnica endovasale che prevede l’uso di una fibra ottica che agisce fisicamente(laser= calore) sulla parete del vaso determinandone l’obliterazione; controindicazione assoluta è la pregressa terapia sclerosante o l’aver sofferto di tromboflebite. La tecnica tradizionale prevede l’asportazione della grande safena e la rimozione dei gavaccioli varicosi.

venerdì 30 maggio 2008

STENOSI CAROTIDE

Le arterie carotidi interne, insieme alle arterie vertebrali, sono i vasi principali che garantiscono l’apporto di sangue al cervello. Per stenosi della carotide s’intende il restringimento del lume dell’arteria carotide, con conseguente minor apporto di sangue ossigeno e nutrienti al cervello, che è il più delicato degli organi parenchimatosi, necessita di un continuo e costante apporto di sangue: riduzioni di flusso, dovute a stenosi o altre cause, possono determinare patologie cerebrali importanti. La causa più frequente della stenosi carotidea è rappresentata dall’aterosclerosi, spesso correlata a: ipertensione arteriosa, fumo di sigaretta, età avanzata, sesso maschile, elevati tassi ematici di colesterolo, dislipidemie, obesità, alcool, uso di contraccettivi orali. L’aterosclerosi è una malattia sistemica, che può interessare le pareti di tutte le arterie dell’organismo; consiste essenzialmente nella deposizione progressiva di lipidi nello


spessore delle pareti delle arterie: si determina così la formazione di una placca che protrude nel lume del vaso e ne determina il restringimento, fino addirittura alla occlusione. Per quel che concerne l’arteria carotide, la sede dove più frequentemente si può formare la placca ateromasica è la biforcazione carotidea, laddove l’arteria carotide comune si divide in arteria carotide interna (che porta sangue al cervello) ed arteria carotide esterna (che irrora essenzialmente il massiccio facciale), grazie alla presenza delle turbolenze che si creano in tale sede. Stenosi severe e, persino l’occlusione dell’arteria carotide, possono essere del tutto asintomatiche, per il buon compenso emodinamico, a livello cerebrale, sostenuto dall’arteria carotide controlaterale e dall’arteria vertebrale (anch’essa deputata alla perfusione cerebrale).
Qualora questo compenso non sia sufficiente, si determina un minor afflusso di sangue al cervello


(ischemia), con conseguente sofferenza cerebrale che si può tradurre essenzialmente in due quadri clinici principali:
§ TIA
§ Stroke o Ictus ischemico
Un TIA (Attacco Ischemico Transitorio) è dovuto ad un’ischemia cerebrale transitoria di breve durata. Poiché l'evento acuto in genere si manifesta solo nella parte destra o nella parte sinistra del cervello, anche i sintomi sono spesso lateralizzati: perdita della sensibilità in un lato del corpo o del viso, paralisi di un lato del corpo o del viso (paralisi del braccio o della gamba, paralisi facciale), perdita della vista, visione sdoppiata (diplopia), visione annebbiata (amaurosi) difficoltà del linguaggio (afasia) o della articolazione delle parole (disartria), vertigini, vomito e perdita


della coscienza(sincope). Tipicamente un TIA dura dai 5 ai 60 minuti, ma non più di 24 ore.
I TIA possono preludere all’insorgenza di ictus. L’Ictus ischemico o Stroke è dovuto all’insorgenza di una lesione grave persistente di parte dell'encefalo provocata dall'interruzione dell'irrorazione sanguigna. La sensibilità, il movimento o la funzione controllati dalla zona lesa sono persi. In circa un terzo dei casi l'ictus risulta mortale. Un ictus che colpisce l'emisfero cerebrale dominante, in genere il sinistro, può provocare alterazioni del linguaggio e della parola, mentre le alterazioni motorie sono controlaterali dovute all’incrocio delle fibre nervose a livello delle piramidi bulbari; quindi una lesione nell’emisfero sinistro provocherà perdita di sensibilità e attività motoria nella metà destra del corpo. Sono oggi disponibili numerose metodiche di indagine in ambito vascolare l’esame che solitamente è eseguito per primo è l’Eco-Color-Doppler,


in quanto non è invasivo, è ripetibile, non utilizza radiazioni ionizzanti ed è un esame a basso costo. Indagini più approfondite sono possibili grazie all’Angio-RM (Angiografia con Risonanza Magnetica) che utilizza un mezzo di contrasto paramagnetico, iniettato in vena. Anche L’Angio-TC (Angiografia con Tomografia Computerizzata) con mezzo di contrasto può essere di notevole utilità. L’indagine più accurata è tuttora l’Angiografia: il mezzo di contrasto iodato iniettato direttamente nell’arteria carotide per mezzo di un catetere introdotto dall’arteria femorale, permette lo studio del lume dell’arteria carotide e la dimostrazione della presenza di placche aterosclerotiche, di stenosi o di occlusione del vaso. In particolare, l’entità della stenosi e la sua rilevanza funzionale possono essere valutate con estrema precisione.La stenosi carotidea va trattata, quando il lume originario si è ridotto del 70%, anche se il paziente non accusa sintomi.


Quando la stenosi è inferiore al 70% il trattamento è di tipo farmacologico. Esistono attualmente due opzioni di trattamento per i pazienti con stenosi carotidea grave superiore al 70% la prima opzione è l’angioplastica con palloncino associata al posizionamento di uno stent, attraverso un catetere portato direttamente in arteria carotide interna, la seconda opportunità è l’intervento chirurgico che può essere eseguito in anestesia totale o locoregionale. In quest’ultima evenienza ricordiamo la tecnica di Moore che prevede il blocco del plesso cervicale profondo; punti di repere sono rappresentati dall’estremità del processo mastoideo e dal tubercolo di Chassaignac(tubercolo anteriore del processo trasverso della sesta vertebra cervicale) facilmente reperibile tracciando una linea perpendicolare in corrispondenza della cartilagine cricotiroidea in senso anteroposteriore sino a raggiungere la parte posteriore del muscolo sternocleidomastoideo.


Si traccia una linea tra i due punti che indica il piano su cui si trovano i processi trasversi (C2, C3, C4) si introduce un ago seguendo una direzione rostro-caudale e si inietta l’anestetico. Si esegue quindi il blocco del plesso cervicale superficiale iniettando a ventaglio 10 ml di soluzione anestetica lungo il margine posteriore del muscolo sternocleidomastoideo, infine si infiltra la linea di incisione chirurgica con altri 10 ml di anestetico per il blocco del ramo cervicale del nervo faciale che innerva il platisma.